Nelle Sue fotografie l’occhio viene attirato da cellule cancerose, batteri, microbi… Come è possibile trasformare cose invisibili ad occhio nudo in soggetti esteticamente attraenti e stupire le persone?
Con gli ingrandimenti di oltre diecimila volte consentiti dal SEM mi immergo in un mondo completamente alieno. La superficie di una foglia diventa un giardino botanico in cui posso andare a spasso. Preparo questo microcosmo per l’occhio umano. Grazie alla successiva elaborazione delle immagini e all’impiego mirato dei colori, il grande pubblico inizia improvvisamente a interessarsi a cose altrimenti difficili da cogliere. Questi input visivi rappresentano un’opportunità meravigliosa per avvicinare a un vasto pubblico i temi della ricerca e costruire ponti con la scienza.
Le Sue foto degli acari hanno vinto premi e sono apparse su riviste prestigiose.
Gli acari delle mie fotografie non appaiono come immagina la maggior parte della gente. Il fatto è che ci sono probabilmente più di un milione di specie di acari al mondo. Noi, però, consideriamo solo quelli che fanno danni, ci mordono o rovinano le piante da interni. Tuttavia ci sono anche acari che in autunno decompongono il fogliame, facendo sì che i processi ciclici della natura facciano il loro corso. Desidero creare la consapevolezza di questa diversità.
Quanto è importante nel Suo lavoro l’aspetto dell’informazione e della sensibilizzazione?
Voglio far vedere alla gente tutto quello che esiste. Ad esempio, nel microbioma umano si possono trovare centinaia di migliaia di specie batteriche, che svolgono un ruolo fondamentale per la salute. La maggior parte delle persone non sono consapevoli che dentro di noi ci sono circa 1,5 chili di batteri attivi, senza i quali non potremmo vivere. Il problema è che queste cose sono così piccole che non le vediamo. E ciò che non vediamo, ci rimane estraneo e ci fa paura. Di solito prendiamo sul serio i batteri solo quando ci causano problemi. Con il mio lavoro desidero togliere alla gente la paura dell’ignoto, dell’infinitamente piccolo. Visto dal SEM, ad esempio, il microbioma che si trova nelle feci umane risplende di meravigliose strutture.
Come reperisce i Suoi soggetti?
Ogni progetto è frutto di una ricerca intensa, spesso lavoro in stretta collaborazione con specialisti scientifici. All’inizio c’è sempre il fascino di qualcosa che non riesco a scacciare dalla mente, come le uova di farfalla. Nel rapporto sulla ricerca della Lega contro il cancro e di Ricerca svizzera contro il cancro, si possono vedere le uova di cavolaia, che sembrano strutture extraterrestri e sono dotate di un complesso sistema di ventilazione per fornire ossigeno ai bruchi embrionali.
Anche le cellule cancerose fanno parte delle Sue serie di soggetti.
Con queste immagini riesco a fornire informazioni su argomenti molto complessi di cui si sta occupando la ricerca scientifica. Contribuiscono a suscitare interesse in un progetto o a chiarire i risultati. Come nel caso del Prof. Nicola Aceto, un ricercatore finanziato dalla Lega contro il cancro, le cui ultime scoperte suggeriscono che le metastasi del cancro sono attive soprattutto di notte. L’ho illustrato con un’immagine che mostra tali cellule tumorali circolanti davanti a uno sfondo scuro: sembra una specie di ripresa notturna.
Quante ore di lavoro ci sono dietro una foto di Micronaut?
Il tempo necessario per una singola immagine è mediamente di un mese. Alle serie lavoro a volte anche per diversi anni.
Le Sue fotografie appartengono più alla scienza o all’arte?
Sia all’una che all’altra. Come artista ricercatore o come ricercatore con un’affinità per l’arte, lavoro con uno strumento che serve innanzitutto a scopi scientifici. L’obiettivo è di realizzare immagini che soddisfino elevati criteri estetici. Da fuori la mia opera viene vista in modo diverso: per i ricercatori si tratta più di arte, probabilmente per la successiva aggiunta dei colori. Dal canto loro, i galleristi tendono piuttosto ad associare le foto di Micronaut alla scienza, sia perché c’è di mezzo il SEM sia perché il processo che porta all’immagine finale è simile a quello di un ricercatore.
Intervista: Tanja Aebli