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La salute al femminile, tumori femminili

Gli esperti rispondono

Perché quando si trovano risposte è tutto più facile. 
Che cosa avreste sempre voluto sapere? 
Prevenzione, diagnosi precoce, cancro del seno, della cervice uterina, dell’utero, delle ovaie, delle tube di Falloppio, della vagina, della vulva, della vescica... tutte sfide alle quali potreste essere confrontate. Interrogate i nostri esperti.  

Ecco una selezione di domande alle quali i nostri esperti hanno risposto in occasione delle passate edizioni. 

Domande e risposte degli esperti

Diagnosi precoce

«Buongiorno
La settimana scorsa sono andata dal ginecologo e oggi mi è arrivata una lettera. Dice che sono state trovate alterazioni cellulari al Pap test. Ho chiamato subito il mio ginecologo, ma è in vacanza fino alla prossima settimana. Voglio sapere cosa significa questo per me. Sto quasi per impazzire. Parole come « anomalo », « alterazione », "lesione" mi spaventano tantissimo. Sono preoccupata anche perché il Pap test precedente risale a due anni fa e questa volta sono andata dal ginecologo per dei disturbi: avevo continue perdite tra un ciclo e l'altro, a volte sanguinolente, a volte giallastre.»
— Domanda di Lisa (6 ottobre 2023)­

Dr. med. André Kind, medico responsabile del policlinico e del servizio specialistico per displasie cervicali dell’Ospedale universitario di Basilea:

Un risultato anomalo del Pap test non è una diagnosi di cancro. Di solito il cancro del collo dell'utero si sviluppa molto lentamente, sull’arco di diversi anni. I controlli periodici ginecologici sono fatti proprio per individuare per tempo eventuali alterazioni cellulari del collo dell’utero. Spesso si tratta solo di un'innocua infiammazione della cervice o di un'iniziale alterazione cellulare che può regredire spontaneamente. Solo se le lesioni non guariscono da sole, devono essere rimosse. Il resto della cervice e dell'utero sono risparmiati. Una volta che la ferita è guarita, non ci sono restrizioni da osservare. Può attendere tranquillamente il ritorno del suo ginecologo.

«Salve, sono una ragazza di 24 anni. A marzo ho effettuato volontariamente i mio primo pap test ( a Perugia, studiavo lì) ed è risultato come esito ASCUS. Ho effettuato a Trapani una colposcopia (LIS di basso grado. HPV-DNA test positivo per genotipo 16-53 e microbiopsia (BIOPSIA portio h 6 h 12 h 10) ed è risultato dall'esame istologico un CIN 2- Lesione squamosa intraepiteliale di alto grado. Da quel momento molto mi hanno consigliato un intervento, mentre la mia ginecologa di Perugia, consultandosi a sua volta, mi ha consigliato il vaccino (prima dose già fatta i primi di settembre e l'altra i primi di ottobre) e degli integratori ISIDE CAPS 22 per 3 mesi a sere alterne per vedere se regredisce ed evitare la conizazzione. Onestamente sono molto impaurita nel caso in cui progredisse in tumore o altro, ma anche per intervento in sé. È possibile che possa regredire ? Grazie.»
— Domanda di Francesca Paola (22 settembre 2021)­

Dr. med. André Kind, medico responsabile del policlinico e del servizio specialistico per displasie cervicali dell’Ospedale universitario di Basilea:

Buongiorno Francesca Paola,

com'è comprensibile, è inquieta e preoccupata a seguito della diagnosi di una neoplasia intraepiteliale cervicale 2 (CIN2). È raro che una CIN2 evolva verso un carcinoma della cervice uterina. Nella maggior parte dei casi le alterazioni scompaiono da sole. Confronta pagina 27 dell’opuscolo della Lega svizzera contro il cancro intitolato Il cancro del collo dell’utero e le lesioni precancerose. Occorre tempo prima che insorga un cancro del collo dell’utero. Questi due fattori ci inducono oggi a non operare subito una CIN2, specialmente non in pazienti giovani come lei. Tuttavia sono assolutamente necessari controlli periodici (da noi ogni 6 mesi). Nel caso in cui le alterazioni cellulari degenerassero in una CIN3, raccomanderemmo anche noi una conizzazione.

Il vaccino HPV è molto buono, ma è efficace soltanto contro i tipi di papilloma virus con i quali lei non è ancora venuta in contatto. Il vaccino HPV non potrà contribuire alla scomparsa delle alterazioni che lei ha già.

Che cos’altro può fare? L’unica misura di comprovata efficacia è quella di smettere di fumare. È dimostrato che il fumo aumenta il rischio di ammalarsi di cancro della cervice uterina e di lesioni precancerose. Se fuma, le consiglio caldamente di smettere di fumare al più presto. Sui pacchetti di sigarette è indicato un numero che indirizza chi desidera smettere di fumare verso un servizio anonimo e gratuito di consulenza, informazione e sostegno nella disassuefazione dal fumo. L’efficacia degli integratori alimentari non è dimostrata.

«Salve, nel 2007 mi fu diagnosticato il cancro del seno e ho subito una mesectomia del seno destro. Fortunatamente, non c'erano metastasi e furono rimossi per sicurezza 11 linfonodi. Il cancro non era visibile sulla mammografia e fu scoperto tramite un esame ecografico. Fino ad oggi non ho disturbi e il cancro non è ritornato :-).
La mia domanda, dato che diversi medici hanno espresso opinioni diverse: è necessaria la mammografia del seno sano? L'esame ecografico che faccio ogni 6 mesi non è sufficiente in questo caso?
Grazie e cordiali saluti»

— Domanda di Sibirien (24 settembre 2021)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
La mammografia dovrebbe essere eseguita regolarmente una volta all'anno, anche senza un particolare sospetto. Lo scopo della mammografia del seno opposto è il rilevamento precoce di un eventuale secondo tumore. La mammografia permette una diagnosi precoce prima della comparsa dei sintomi. A seconda della densità del tessuto ghiandolare, la mammografia viene integrata da un esame ecografico (sonografia). In determinati casi è necessaria una risonanza magnetica (MRI) per escludere un secondo carcinoma.

Benché nel Suo caso il tumore 14 anni fa non era visibile alla mammografia, è molto probabile che oggi un eventuale tumore nel seno sinistro sarebbe individuabile con la mammografia.

«Buongiorno, quattro settimane fa sono andata dal ginecologo per un piccolo nodulo nell’ascella.
Il medico mi ha prescritto una pomata ormonale, perché riteneva che fosse un linfonodo. Il prossimo appuntamento con lui sarà a novembre. Il nodulo non è ancora scomparso. Posso aspettare fino al prossimo appuntamento?
Grazie mille della risposta. Cordiali saluti»
— Domanda di Vroni (12 ottobre 2021)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Percepisce un nodulo nell’ascella. Si è fatta visitare dal Suo ginecologo. È previsto un controllo a novembre. Il nodulo finora non è regredito. Per sicurezza, si rivolga a un centro di senologia certificato, ma si rechi anche alla visita di controllo dal Suo ginecologo nel mese di novembre.

Predisposizione genetica

Si stima che dal cinque al dieci per cento di tutti pazienti colpiti dal cancro abbia una mutazione congenita del DNA che favorisce lo sviluppo di un cancro.

«alla signora Knabben
A proposito di test genetici: il test genetico è indicato per il cancro al seno metastatico, di tipo HER2-negativo (da 4 anni), per asportare eventualmente le ovaie? Ho 60 anni. Nella mia famiglia, mia cugina è morta di cancro del seno (1a diagnosi a circa 50 anni, 2a a 60 e in seguito deceduta per metastasi al fegato) e mia zia è deceduta per lo stesso tumore. Mia nonna e un cugino (di circa 48 anni) sono morti di cancro del pancreas. Sono tutti parenti da parte materna.
Grazie per la Sua risposta»
— Domanda di Vivi (29.10.24)­

Dr.ssa med. Laura Knabben, specialista in predisposizione genetica, direttrice del Centro di senologia di Berna-Soletta e medico responsabile del Centro di senologia del Bürgerspital di Soletta:
Nella Sua famiglia c’è un’alta incidenza di cancro tra i parenti di secondo e terzo grado da parte di madre. L’indicazione per un test genetico dovrebbe essere verificata nell’ambito di una consulenza genetica.

Se viene rilevata una mutazione, la rimozione delle ovaie può avere senso anche per il cancro del seno metastatico qualora la situazione della malattia sia stabile. Inoltre, il risultato può eventualmente fornire informazioni riguardo a ulteriori opzioni terapeutiche.
Il risultato del test può anche fornire importanti informazioni per i membri della Sua famiglia.
La cosa migliore è discutere dell’indicazione e dell’utilità di un test genetico con il Suo oncologo o il ginecologo.

«Buongiorno
Mi rivolgo a lei perché ho ricevuto pareri discordanti. Forse lei mi può aiutare.
A mia sorella di 54 anni è stato diagnosticato un cancro al seno di grado 3. Sono ancora in corso accertamenti per escludere metastasi. Io ho 58 anni. Il mio seno è denso (C) e ho diverse cisti. Ogni anno e mezzo o due devo fare una mammografia e in seguito sottopormi a una sonografia. Ho due figlie. Naturalmente ci siamo domandate che conseguenze questo abbia per noi. Tanto più che anche la loro zia (sorella di mio ex marito) ha il cancro al seno.
Abbiamo anche già parlato con le rispettive ginecologhe, ma ognuna di loro dice qualcosa d’altro. Alla mia figlia più giovane è stato detto che la persona direttamente interessata dalla malattia può fare un test genetico. Alla mia figlia di mezzo, invece, è stato detto che io in quanto madre posso fare un test genetico.
Il test è molto caro e non è rimborsato d’emblée dalla cassa malati. Chi può fare un test genetico per finire?
Inoltre ho domandato alla mia ginecologa se non sia meglio per me sottopormi anche a una risonanza magnetica per poter vedere il seno a strati. La mia ginecologa mi ha risposto che la cassa malati molto probabilmente rifiuterebbe di pagare una risonanza magnetica, visto che ho già fatto una mammografia e una sonografia all’inizio di quest’anno. Però una conoscente malata di cancro al seno mi ha detto che lei era nella stessa mia situazione e che il suo tumore è stato individuato solo alla risonanza magnetica. Che cosa è giusto fare?
Aspetto con ansia la sua risposta e la ringrazio già fin d’ora.»
— Domanda di Liselotte (6 ottobre 2023)­

Dr. med. Laura Knabben, capo del servizio di ginecologia dell’Ospedale universitario di Berna (Inselspital):
Lei ha due figlie. Sua sorella e la zia paterna delle sue figlie si sono ammalate di cancro al seno. Vorrebbe sapere chi di voi potrebbe sottoporsi a un test per il riconoscimento di eventuali mutazioni genetiche predisponenti affinché si possano prevedere misure di diagnosi precoce adattate al rischio individuale.

Consulenze e test genetici sono indicati in caso di sospetto di malattie oncologiche ereditarie e/o di predisposizione genetica allo sviluppo delle stesse. Fattori di rischio, oltre a un numero elevato di casi di cancro registrato in una famiglia, sono determinati tipi di cancro (p. es. tre donne con cancro al seno), cancro in giovane età (<45 anni) o determinati sottotipi di cancro (p. es. cancro al seno triplo negativo).

Per il momento probabilmente non è ancora noto se Sua sorella è interessata da un cancro ereditario del seno. Una prima descrizione delle cellule tumorali è effettuata dall’istituto di patologia a partire dal tessuto prelevato in sede di biopsia. Un’ulteriore caratterizzazione definitiva è effettuata successivamente a partire dal tessuto prelevato durante l’intervento chirurgico. Il referto patologico definitivo (unitamente all’anamnesi familiare) forniscono le informazioni necessarie per poter valutare se un test genetico sia utile e sensato dal punto di vista medico. Se possibile il test genetico è eseguito innanzi tutto sulla persona che ha contratto il cancro del seno. In tal caso e a condizione che sia indicato, i costi del test genetico sono coperti dalla cassa malati.

La linea materna e la linea paterna vanno considerate separatamente. A tale proposito sarebbe utile sapere che età aveva la zia paterna delle Sue figlie al momento della diagnosi, se entrambi i seni erano interessati dalla malattia oppure solo uno, e di che tipo di cancro del seno si è trattato (tumore al seno positivo agli ormoni femminili ?).
All’inizio di quest’anno si è sottoposta a una mammografia di diagnosi precoce e a una sonografia. Vorrebbe sapere se è necessario fare, in più, anche una risonanza magnetica. La risonanza magnetica è indicata nel caso in cui la mammografia e/o la sonografia evidenziano lesioni sospette e da sole non bastano per escludere con un alto grado di attendibilità un cancro del seno. Inoltre una risonanza magnetica in combinazione con una mammografia e una sonografia è spesso utile nelle donne che presentano un rischio aumentato di cancro del seno. Per la popolazione generale di donne d’età compresa tra i 50 e i 70(-75) anni d’età, la mammografia è l’esame migliore per la diagnosi precoce del cancro del seno. Consulti un medico specialista in senologia e domandi quali esami di diagnosi precoce siano indicati nel Suo caso specifico e con quale frequenza siano da eseguire. Si rivolga a un centro di senologia certificato.

«Buongiorno,
mia nonna ha avuto un cancro dell’ovaio, suo figlio un cancro dello stomaco, sua nipote un cancro del rene e adesso mia madre, ossia sua figlia, un cancro dell’utero (adenocarcinoma).
La mia domanda è: c’è una predisposizione ereditaria e sarebbe utile per me eseguire dei test del DNA?
Grazie della sua risposta.»
— Domanda di Y.B. (13.11.24)

Dr. med. Laura Knabben, specialista in predisposizione genetica, caposervizio e direttrice di sede del Centro di senologia Berna-Soletta al Bürgerspital di Soletta.
Buongiorno,
nella Sua famiglia materna si sono verificati numerosi casi di cancro. Ha certamente senso determinare la probabilità di una predisposizione ereditaria nel quadro di una consulenza genetica. I servizi di consulenza genetica in Svizzera chiedono che le persone siano inviate da un medico. Si rivolga al Suo medico di famiglia o al Suo ginecologo con questa richiesta.
In una consulenza genetica sarà determinata la probabilità di una predisposizione ereditaria, inoltre Le saranno spiegate le possibili conseguenze di un test genetico. Avrà quindi tutte le informazioni per decidere se chiedere la garanzia dell’assunzione dei costi alla Sua cassa malati e sottoporsi a un test genetico. Per il test occorre solo un prelievo di sangue. I risultati e le possibili misure profilattiche, nonché gli eventuali esami di diagnosi precoce, saranno discussi in una visita successiva.

«Ho avuto un carcinoma mammario Luminal B HER2-positivo, di 9 mm, nella mammella destra. È stato escisso, senza disseminazione, ecc. Adesso sto ricevendo la chemioterapia e devo decidere se sottopormi ad asportazione del seno oppure a un monitoraggio rigoroso, poiché nel frattempo mi è stata diagnosticata una mutazione di BRCA1. Se decido di farmi asportare entrambe le mammelle posso rinunciare alla radioterapia. Sul sito krebshilfe.de ho letto la seguente descrizione: ‹La mammella malata può essere operata in modo conservativo e successivamente sottoposta a radioterapia. Il rischio di recidiva non è più alto che nelle donne senza mutazione.› I miei medici invece dicono che ci sarebbe comunque un rischio per entrambe le mammelle malgrado la radioterapia. -?-»
— Domanda di yani14 (4 novembre 2021)

Dr. med. Laura Knabben, capoclinica di ginecologia, Inselspital di Berna:
Buongiorno,

prima di prendere una decisione, vuole capire esattamente quali sono le implicazioni per Lei di una mutazione di BRCA1. La questione dev’essere affrontata separatamente per la mammella colpita e per quella sana, inoltre bisogna distinguere tra recidiva e nuovo tumore.

La Sua mammella destra è stata colpita da un cancro e adesso sta ricevendo una chemioterapia. Può scegliere tra un intervento conservativo del seno con successiva radioterapia o l’asportazione completa del seno. Se il seno viene asportato completamente, nella maggior parte dei casi non è più necessaria una radioterapia. Le probabilità di sopravvivenza non cambiano tra i due approcci: la mutazione di BRCA non fa alcuna differenza.

La Sua mammella sinistra è sana. Siccome ha una mutazione di BRCA1, rispetto alla media della popolazione ha un rischio più elevato che (anche) questa mammella sia colpita dal cancro. Il rischio di sviluppare un nuovo tumore a sinistra è permanente e può essere ridotto drasticamente asportando la mammella sana. Oggi, di solito, questa operazione viene eseguita preservando il mantello cutaneo e il capezzolo, cosicché durante lo stesso intervento può essere ricostruito il seno (con una protesi in silicone o con tessuto autologo). La Sua decisione terapeutica in merito alla mammella malata non influisce sulla procedura scelta per la mammella sana.

Lei deve prendere una decisione che avrà un impatto permanente sulla Sua vita. Alcune donne si rivolgono a medici specialisti e psiconcologi per essere aiutate in questo processo decisionale. I maggiori centri di trattamento dispongono di ambulatori specializzati nelle mutazioni di BRCA.

Sicuramente, i Suoi medici curanti Le avranno menzionato anche il rischio aumentato di cancro dell’ovaio in presenza di una mutazione di BRCA1. Siccome non esistono esami sufficientemente attendibili per la diagnosi precoce del cancro dell’ovaio, si raccomanda l’asportazione «profilattica» delle ovaie a partire dai 40 anni d’età.

Cancro del seno; trattamenti

Il trattamento del cancro al seno è sempre pianificato in modo individuale e adattato a ogni caso particolare.

«Buongiorno,
in gennaio mi è stato diagnosticato un cancro del seno triplo negativo, e ora esco da 6 mesi di chemioterapia e immunoterapia con annessa operazione conservativa. In sede operatoria non sono state individuate cellule tumorali, per cui secondo gli oncologi io avrei una probabilità molto bassa di recidiva. Adesso devo cominciare la radioterapia: le prime 5 settimane irradiazione di tutto il seno compresi i linfonodi della clavicola. Successivamente un boost a dose più elevata, direttamente nel punto dov’era il tumore. Per questo boost mi è stata consigliata una brachiterapia, che richiede una degenza in ospedale di 4 giorni e un’anestesia generale: devo dire che la prospettiva non mi entusiasma. Il boost potrebbe essere somministrato anche tramite una «normale» radioterapia esterna. Che cosa mi può dire sui vantaggi e gli svantaggi?»
— Domanda di Sunny (13.09.2024)­

Dr. med. Anita Wolfer, oncologa senologa, direttrice del centro di senologia dell’Ospedale universitario di Ginevra (HUG)
Dopo una chirurgia conservativa del seno è effettivamente raccomandata una radioterapia. L’inclusione dei linfonodi è dovuta molto probabilmente all'individuazione di un linfonodo interessato dalla malattia al momento della diagnosi iniziale. Riguardo al «boost» (ossia una dose supplementare di radioterapia) sul letto tumorale, ci sono in effetti due possibilità. Da un lato, come dice lei, è possibile fare qualche seduta in più di radioterapia ambulatoriale, dall’altro si può ricorrere a una brachiterapia. La brachiterapia può avere il vantaggio di ridurre l’irradiazione di alcuni organi, come il cuore o i polmoni o l’altra mammella sana. D’altro canto richiede un ricovero in ospedale, dove vengono inseriti aghi o cateteri sottili nella mammella, direttamente nella zona da dove è stato asportato il tumore. La posa dei cateteri può essere sgradevole, ma di solito viene eseguita un’anestesia locale combinata con analgesici, per ridurre al minimo il dolore durante l’intervento. Riguardo all’efficacia, ossia la capacità di evitare una recidiva nella mammella, non sono state riscontrate differenze tra le due diverse forme di radioterapia. Se ha l’impressione che il Suo medico non Le abbia spiegato bene i vantaggi e gli svantaggi delle due procedure, Le consiglio di chiedere un secondo parere in un altro centro di senologia certificato.

 

«Buongiorno,
La mia compagna ha ricevuto qualche giorno fa questa terribile diagnosi: carcinoma mammario invasivo, NST. Triplo negativo. Indice di proliferazione 35 %. Segue istologia dettagliata.
La prognosi appare brutta e la prima chemioterapia dovrebbe iniziare già la settimana prossima.
Siccome non rimane molto tempo per studiare approfonditamente quest’argomento, vorrei chiedere:
quali sono le opzioni terapeutiche in un caso come questo? Oppure, non potrebbe essere meglio partecipare a uno studio?
Come si può sapere se i medici prendono la decisione giusta? C’è ancora una speranza?»
— Domanda di Wuschel3 (31 ottobre 2023)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Lei ha ragione: la prognosi del carcinoma mammario triplo negativo è peggiore rispetto ad altri sottotipi del cancro del seno. Tuttavia, la maggior parte delle persone colpite si riprende dopo il trattamento e si rimette in salute.
La terapia del carcinoma mammario triplo negativo dipende da vari fattori. In molti casi si inizia con una chemioterapia, spesso combinata con un’immunoterapia. Dopo alcuni cicli i pazienti sono operati, e se dopo l’operazione si rilevano ancora residui del tumore viene raccomandata una seconda chemioterapia.

La partecipazione a uno studio clinico, qualora ce ne sia uno adatto, è sempre l’opzione migliore.

Il cancro del seno dovrebbe essere trattato possibilmente in un centro di senologia. Nell’ottica della garanzia della qualità, nei centri certificati tutti i casi sono discussi in una riunione di tutti gli specialisti coinvolti nel trattamento («tumor board»), anche nel contesto di un secondo parere. Al tumor board per un tumore del seno partecipano specialisti delle seguenti discipline: chirurgia ginecologa, oncologia (terapia farmacologica del tumore), radio-oncologia (radioterapia), patologia (determinazione precisa del tipo di cellule del tumore) e una breast care nurse (infermiera specializzata in senologia). Quest’approccio garantisce una maggior sicurezza che la paziente riceva la terapia più adatta.

«Buongiorno
Ho una domanda: Il massaggio ayurvedico (Abhyanga) è controproducente nel carcinoma mammario metastatico (ormono-dipendente, metastasi ossee)? Quali massaggi potrebbero essere utili, soprattutto per il rilassamento?
Grazie per la risposta»
— Domanda di Liesl (23 ottobre 2023)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Desidera sapere se un massaggio ayurvedico è possibile nella sua situazione.

La valutazione dei rischi e dei benefici compete al medico curante. Le regioni del corpo interessate dalla malattia non dovrebbero essere massaggiate. Le ossa sede di metastasi sono meno stabili di quelle sane. A prescindere dalla disciplina medica, i massaggi energici sono controindicati. I tocchi delicati, invece, sono consentiti e possono aiutare a sentirsi meglio e a migliorare la qualità di vita.

Il Servizio Tedesco di Informazione sul Cancro del Centro Tedesco di Ricerca sul Cancro ha effettuato ricerche e verificato le affermazioni relative all’ipotesi secondo cui attraverso un massaggio le cellule tumorali possano essere sospinte in tessuti ai quali altrimenti non si sarebbero estese ed è giunto alla seguente conclusione: "Oggi gli esperti ritengono che è concepibile che attraverso un massaggio si possa influire meccanicamente sull'evoluzione di una malattia tumorale, ma – in assenza di prove – per ora solo in teoria. Una cosa è chiara: un terapista professionale non massaggerà comunque la zona di una ferita chirurgica fresca o la zona irradiata, se è possibile evitarlo". [Fonte]

Non si può escludere del tutto che delle cellule si stacchino dal tessuto sottoposto al massaggio. Tuttavia, questo non significa che esse possano dare origine a nuovi focolai di malattia a distanza. Perché ciò avvenga, una cellula tumorale deve subire ulteriori cambiamenti.

È importante affidarsi a un terapista con comprovate competenze, che aggiorna e approfondisce periodicamente, e con un approccio responsabile nei confronti dei pazienti. Il Registro di Medicina Empiricia (RME) l'aiuta a trovare terapisti qualificati nel campo della medicina complementare nella sua zona.

«Buongiorno, mi interesserebbe sapere quali sono i compiti di una Breast Care Nurse e in cosa differiscono da quelli di una “normale” infermiera?
Grazie mille per la Sua risposta»
— Domanda di Bienli (23 octobre 2023)

Monika Biedermann, Breast Care Nurse:
Buongiorno Bienli

La Breast Care Nurse è un’infermiera diplomata con una specializzazione supplementare in senologia, che consiglia e assiste le pazienti malate di cancro al seno e i loro familiari. La Breast Care Nurse fa parte dell’équipe del centro di senologia e conosce esattamente la diagnosi, gli approcci terapeutici e le relative conseguenze sulle persone colpite.

Accompagna le pazienti lungo tutte le fasi della malattia, dalla diagnosi fino alla conclusione della terapia e al periodo successivo. Inoltre, ha il tempo necessario per rispondere con calma alle domande riguardanti la patologia che ha colpito il seno. Può anche fornire contatti con i servizi sociali, i gruppi di auto-aiuto, i servizi psico(onco)logici e molto altro ancora.

Tutto ciò la distingue dall’infermiera diplomata, cui manca tale specializzazione.

«Salve
Cosa può dire dell’esperienza dei pazienti con la chemioterapia Enhertu®?
Cosa significa se una paziente non risponde bene al farmaco? Mia madre ha già avuto una reazione molto negativa alla terapia infusionale e temiamo che il cancro possa colpire altri organi: il fegato e i polmoni sono già gravemente colpiti da metastasi, e anche i linfonodi e le ossa (scheletro). Quale dose viene somministrata?
Ha il seguente tumore al seno HER 2 Immunoistochimica 2+
Le sono stati somministrati tutti i tipi di farmaci in compresse che sono migliori per lei, ma senza successo.
Grazie per il suo feedback, una figlia preoccupata. Mia madre compie 70 anni e lotta contro il cancro al seno ormai da 3 anni.»
— Domanda di Sofia (11 settembre 2023)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Che cos’è Enhertu® (trastuzumab deruxtecan)?
Trastuzumab è un anticorpo che si lega al recettore HER2 e lo blocca, inibendo così la crescita delle cellule tumorali. Il principio attivo Deruxtecan è legato all’anticorpo Trastuzumab ed è quindi destinato a raggiungere e uccidere in modo specifico le cellule tumorali.

Nello studio iniziale su 184 pazienti abbondantemente pretrattate, è stata osservata una risposta del tumore nel 60% delle pazienti. Ciò significa che il 40% delle pazienti non ha risposto al farmaco. La risposta alla terapia è durata in media 14,8 mesi e le pazienti non hanno mostrato progressione del tumore per una media di 16,4 mesi.
In un altro studio, Enhertu® è stato confrontato con Kadcyla® (trastuzumab emtansine) in 699 pazienti. Il tempo intercorso fino alla progressione della malattia è stato di 28,8 mesi con Enhertu® e di 6,8 mesi con Kadcyla®.
Il dosaggio corrisponde a 5,4 mg per kg di peso corporeo. Il farmaco viene somministrato ogni 3 settimane.

Se sua madre non risponde alla terapia, significa che il tumore (cellule tumorali) è resistente al farmaco e continua a crescere.

È una situazione molto difficile per la paziente e per la sua famiglia quando un tumore non risponde o non risponde più alle terapie e continua a crescere.

Si rivolga ad una psico-oncologa o a uno psico-oncologo per avere consigli e supporto, in modo che lei e la sua famiglia possiate affrontare meglio questa situazione.

«Buongiorno, sto assumendo il Tamoxifen da quindici giorni e non avverto nessuno degli effetti collaterali spesso menzionati. Da un lato è bello, ma dall'altro mi fa sentire insicura, perché a quanto pare ci sono donne per le quali il farmaco non funziona. Ci sono modi per verificare l'efficacia?
Grazie mille per la risposta.»
— Domanda di Springding (17 ottobre 2023)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Spesso le pazienti non hanno effetti collaterali del tamoxifene.

L'efficacia del tamoxifene non è rilevabile nel sangue. Nella pratica clinica, l'efficacia del tamoxifene nelle singole donne viene controllata indirettamente durante le visite di controllo periodiche per individuare precocemente una possibile ricaduta (recidiva). L'efficacia del tamoxifene è stata dimostrata da studi clinici: riduce il rischio di recidiva e di mortalità dopo un tumore al seno sensibile agli ormoni.

«Sono molto preoccupata per mia madre. Ha un cancro del seno non trattato che ha già danneggiato notevolmente la mammella sinistra.
Il tumore si diffonde principalmente sulla pelle. Non si sa in che misura siano colpiti gli organi interni.
Ha anche un linfedema al braccio sinistro che ostruisce il flusso del liquido e di conseguenza il braccio è pieno d'acqua.
Ora mi trovo di fronte a due pareri medici. Secondo il primo, il flusso dell'acqua dovrebbe essere supportato da un bendaggio ed eventualmente da un drenaggio linfatico, mentre secondo l'altro parere il bendaggio fa sì che le cellule tumorali si diffondano più velocemente nel corpo.
Qual è la Sua opinione? Quale trattamento consiglierebbe?»

— Domanda di Signora C. (28 settembre 2022)

Corinne Weidner, Fisioterapista MAS Riabilitazione:
Buongiorno signora C.

Contrariamente a quanto si supponeva in precedenza, oggi si ritiene che l'influsso meccanico su un tumore maligno attraverso il linfodrenaggio manuale, il massaggio o i bendaggi sia concepibile in teoria, ma piuttosto improbabile nella pratica.

Le controindicazioni al linfodrenaggio manuale sono: trombosi acute, infezioni o insufficienza cardiaca pronunciata. L'adeguatezza della terapia nel singolo caso deve essere sempre concordata con l'équipe curante.

Il linfedema non trattato non scompare da solo. Nell'area del linfedema, anche nelle ferite più piccole i batteri possono penetrare e diffondersi sotto la pelle. Ne nasce un'infiammazione cutanea. Una buona cura della pelle è molto importante.

Per ulteriori informazioni su questo argomento consulti il sito web della Lega svizzera contro il cancro.

Sul sito Internet di «Lympha Helvetica» trova un elenco delle terapiste e dei terapisti con certificato di qualità

«Operazione per cancro del seno & linfonodo sentinella & radioterapia per 5 settimane. C’è un’alternativa al trattamento sistematico / antiormonale?
Da circa 3 anni sono in menopausa & temo forti effetti collaterali, se mi sottopongo a questo trattamento a base di medicinali per 5-10 anni. Conosce fitofarmaci o prodotti naturali? O il vischio?
Ho anche un tumore al rene di cui mi è stata asportata chirurgicamente una parte.»
— Domanda di Niessen22 (31 ottobre 2022)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Molte donne colpite temono i possibili effetti collaterali della terapia antiormonale e chiedono informazioni sulle alternative.

La maggior parte delle pazienti tollera molto bene la terapia antiormonale e ha pochissimi effetti collaterali che influiscono sulla qualità della vita.

Un'alternativa equivalente alla terapia antiormonale non esiste. E non esiste alcun fitofarmaco o metodo di trattamento non convenzionale che possa essere utilizzato al posto della terapia antiormonale per ridurre il rischio di recidiva dopo il cancro del seno. Tuttavia, i seguenti istituti offrono un trattamento d’accompagnamento per le malattie oncologiche:

• Ambulatorio di Oncologia Integrata all’Istituto Oncologico della Svizzera italiana
• Istituto di medicina complementare e integrativa, Ospedale universitario di Berna (Inselspital)
• Istituto di medicina complementare e integrativa, Ospedale universitario di Zurigo
• Centro di medicina integrativa, Ospedale cantonale di San Gallo
• Centro di medicina integrativa e complementare, Ospedale cantonale di Losanna

In generale, si fa una distinzione tra terapie complementari e alternative. Le terapie complementari integrano la medicina convenzionale, hanno un effetto di supporto e, se scelte in modo oculato, è dimostrato che possono alleviare specifici effetti indesiderati della terapia convenzionale. La combinazione tra medicina convenzionale e complementare è chiamata medicina integrativa. Le terapie alternative comprendono metodi la cui efficacia e sicurezza contro il cancro non sono state dimostrate scientificamente.

«Buongiorno, siccome è già la terza volta che mi ammalo di cancro, adesso devo seguire una terapia anticorpale con Avastin. Vorrei sapere se si tratta di un tipo di immunoterapia.
Sono sempre molto stanca, soffro di stitichezza alternata a diarrea e la mia qualità della vita è diminuita. Ricevo la terapia ogni tre settimane. La mia domanda è:
non si potrebbe fare questa terapia ogni quattro settimane?
Cordiali saluti,»
— Domanda di Elisabeth (22 settembre 2021)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Buongiorno Elisabeth,

il principio attivo bevacizumab (nome commerciale Avastin) è un anticorpo monoclonale impiegato nella terapia mirata contro il cancro. Attiva il proprio sistema immunitario a distruggere il tessuto del tumore. Bevacizumab agisce in modo specifico su un determinato recettore delle cellule tumorali e inibisce la formazione di nuovi vasi sanguigni nel tumore: il tumore riceve meno sostanze nutritive e la sua crescita è frenata.
Avastin è impiegato insieme ad altri medicamenti per il trattamento di vari tumori in stadio avanzato, come il cancro del seno, il cancro dell’ovaio e il cancro del collo dell’utero.

La Sua qualità della vita è limitata dalla terapia. Dice di avere una forte stanchezza. Questo problema viene chiamato anche «fatica cronica associata al cancro», uno stato di spossamento che non migliora neppure dopo un fase di riposo. La causa può essere sia la malattia e le sue conseguenze psichiche, sia la terapia.

La stitichezza e altri problemi gastrointestinali sono effetti indesiderati frequenti della terapia con Avastin.
È importante che continui a segnalare alla Sua équipe curante che ha questi disturbi. Non esiti a chiedere come trattarli e cosa può fare Lei a casa per alleviarli. Seguire un'alimentazione equilibrata e svolgere un'attività fisica regolare adatta al Suo stato di salute possono influire positivamente sul Suo benessere.

Riguardo alla Sua domanda sulla terapia: l’intervallo (frequenza) e la dose (quantità) dipendono dalla diagnosi precisa, dall’obiettivo terapeutico, dai risultati dei Suoi esami durante la terapia e dal Suo stato di salute. Anche in questo caso La esorto a parlarne con la Sua équipe curante, affinché insieme possiate trovare la soluzione migliore per Lei.

Cordiali saluti

«Buongiorno,
mi piacerebbe sapere che chance ci sono quando il carcinoma mammario ha già formato metastasi nei polmoni, nel fegato, nella clavicola e nelle vertebre toraciche e lombari. Attualmente viene somministrata una terapia ormonale.
Grazie della sua risposta.»
— Domanda di Leseratte6 (11 ottobre 2021)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Nel cancro del seno metastatico, alcuni medicamenti possono impedire o alleviare sintomi, prolungare la vita e preservare il più possibile la qualità della vita. Con i trattamenti attuali spesso si riesce a convivere per anni con la malattia. Tuttavia, il decorso della malattia varia da paziente a paziente: alcune donne vivono ancora a lungo dopo la comparsa di metastasi, altre subiscono un peggioramento molto rapido dello stato di salute. Sulla prognosi influiscono molti fattori, tra cui l’età, lo stato di salute generale, la terapia utilizzata e la risposta individuale ai trattamenti.

cancro del seno; La vita dopo la fine del trattamento

Effetti collaterali e sintomi dopo il cancro

«Sulla base di quali criteri si dovrebbe decidere quando si può o si deve terminare una terapia ormonale?
Quando viene interrotta una terapia ormonale (Aromasin), non bisogna controllare il livello degli ormoni per un certo periodo, in modo da accorgersi subito di un aumento?
A 68 anni si può ancora temere un aumento degli ormoni?
Se con la terapia ormonale viene frenata la produzione di estrogeni, non cambiano anche i livelli di altri ormoni, come il testosterone o il progesterone?
Ho domande anche su un altro tema, ossia sull’interruzione di Prolia.»
— Domanda di R.S. (07.10.24)

Dr. med. Anita Wolfer, oncologa senologa, direttrice del centro di senologia dell’Ospedale universitario di Ginevra (HUG)
Quando si può o deve terminare una terapia ormonale dipende da una varietà di fattori. Parto dal presupposto che nel Suo caso si tratti di una cosiddetta terapia adiuvante, ossia, il tumore è stato asportato e l'obiettivo è evitare che ritorni. In questo caso, la durata della terapia si basa su studi in cui il medicamento è stato somministrato per 5 o persino per 10 anni. In generale la terapia ormonale – io preferisco dire «terapia antiormonale» – viene somministrata per cinque anni. Gli studi che hanno esaminato periodi di trattamento più lunghi hanno mostrato un vantaggio per le pazienti che hanno avuto un interessamento dei linfonodi. In questi casi si raccomanda di prolungare la terapia con un inibitore dell’aromatasi, come Aromasin, fino a 8 anni. Se i linfonodi non sono stati colpiti, la terapia può essere interrotta dopo cinque anni. L'interruzione di una terapia antiormonale deve avvenire sempre in accordo con l’équipe curante.

Riguardo alla domanda sulla misurazione del livello ormonale, posso dire quanto segue. Aromasin – e gli altri inibitori dell’aromatasi letrozolo e anastrozolo – riducono il livello degli estrogeni mediante l’inibizione dell’enzima aromatasi, che è responsabile della produzione di estrogeni nelle donne dopo la menopausa. Questo è il meccanismo alla base dell’efficacia di questi medicamenti. Pertanto, quando un medicamento non viene più somministrato sale automaticamente il livello degli estrogeni.
Quest’aumento non deve preoccuparla. È successo anche negli studi in cui è stata dimostrata l’efficacia di questi medicamenti. Dopo la menopausa il livello degli estrogeni rimane sempre basso.

Infine, due parole sul testosterone e il progesterone. Il testosterone è trasformato dall’enzima appena citato, ossia l’aromatasi, in estrogeno. Di conseguenza è ipotizzabile che il livello di testosterone diminuisca leggermente dopo la sospensione di Aromasin. Tuttavia, il testosterone non ha alcun effetto diretto sulle cellule tumorali eventualmente ancora presenti. Il progesterone non è interessato dagli inibitori dell’aromatasi e il suo livello non dovrebbe cambiare.

Se ha domande sull’interruzione di Prolia, La invito caldamente a discuterne con l’équipe curante.

«Ho un cancro al seno e mi sono stati rimossi i linfonodi sotto un’ascella. Mi è stato detto di non misurare la pressione sanguigna o effettuare prelievi di sangue sul braccio interessato.
È corretto e se sì perché? Grazie per la Sua risposta»

— Domanda di Sonnenblume (24 ottobre 2023)

Monika Biedermann, infermiera in senologia presso il servizio di ginecologia dell’Ospedale universitario di Berna (Inselspital) e
Corinne Weidner,
Fisioterapista MAS Riabilitazione, Docente Fisioterapia Linfologica:

Buongiorno Sonnenblume

Non sono disponibili dati certi sulla questione della misurazione della pressione sul braccio operato. Tra gli esperti ci sono opinioni contrastanti sull’argomento. Ad esempio, la maggior parte degli specialisti, ancora anni dopo la fine del trattamento antitumorale, consiglia alle pazienti colpite da cancro al seno di non misurare la pressione, di non farsi prelevare sangue o inserire cannule nelle vene sul braccio interessato. Ritengono che il gonfiaggio del bracciale per la pressione arteriosa o la compressione di un laccio emostatico possa aumentare una congestione linfatica già esistente, causare minuscole lesioni e quindi favorire lo sviluppo e la progressione del linfedema. Altri specialisti ritengono, invece, che le saltuarie brevi congestioni con un bracciale per la pressione sanguigna o un laccio emostatico non provochino alcun danno.

Non è scientificamente provato che le misurazioni della pressione arteriosa o il prelievo di campioni di sangue sul braccio operato favoriscano il linfedema. Non vengono eseguiti studi comparativi perché sarebbe discutibile dal punto di vista etico.

Se il sistema linfatico è sovraccarico o danneggiato, la quantità di liquido che defluisce attraverso il sistema linfatico può aumentare e quindi peggiorare il linfedema.

Le persone colpite dovrebbero quindi discutere con la loro équipe di trattamento ciò che conviene fare nel loro caso personale.

L’opuscolo «Il linfedema dopo un cancro» della Lega svizzera contro il cancro fornisce una panoramica sul funzionamento del sistema linfatico, sulle misure per ridurre il rischio di sviluppare un linfedema e sugli approcci terapeutici.

«Ho concluso la chemioterapia circa sei settimane fa e da circa quattro ho un forte prurito su tutto il corpo! Non ho eruzioni cutanee di nessun tipo! I valori ematici sono in ordine! A cosa può essere dovuto?»
— Domanda di E.C. (12 settembre 2022)

Monika Biedermann, infermiera di senologia:
Buongiorno E.C.,

Alcuni farmaci chemioterapici possono causare secchezza cutanea durante e dopo la terapia. La pelle secca può essere molto pruriginosa anche in assenza di un’eruzione cutanea visibile. Il prurito può essere molto fastidioso e ridurre la qualità di vita.

Esistono alcuni facili accorgimenti per prendersi cura della Sua pelle:

  • Usare prodotti per la cura delicati: usi prodotti per la cura della pelle il più possibile privi di fragranze o profumi.
  • Fare doccia e bagno nel minor tempo possibile: oltre a ridurre la durata della doccia e del bagno, si assicuri che l’acqua non sia troppo calda. Ciò evita che la pelle si secchi.
  • Non irriti ulteriormente la pelle: eviti, se possibile, di grattarsi. Anche i cerotti possono danneggiare la pelle, se al di sotto si accumulano umidità e calore.
  • Utilizzare una lozione per il corpo idratante contenente urea. Se sta già utilizzando prodotti per la pelle contenenti urea ma ha comunque sviluppato il prurito, dovrebbe sostituirli con prodotti senza urea. Sappiamo per esperienza che alcune persone reagiscono con il prurito ai prodotti contenenti l’urea. Si consulti con l’équipe curante o si faccia consigliare in farmacia gli unguenti più adatti al Suo caso.

Se il prurito non migliora dopo circa una settimana, non esiti a contattare l’équipe di trattamento o il Suo medico di famiglia.

«Ho tollerato bene l’operazione di quattro settimane fa e per ora mi sento bene. Mi hanno asportato i linfonodi sentinella e durante i controlli il medico ha riscontrato una lieve «sindrome della rete ascellare»: percepivo una tensione che partiva dall’ascella e scendeva sul braccio in direzione del gomito. Mi ha detto che si trattava di un indurimento dei vasi linfatici e che dovevo fare esercizi di allungamento del braccio.
Da ieri sento effettivamente questa «corda di chitarra», ossia una vera e propria corda che esce dall’ascella, come un cavo teso, e sento anche un piccolo nodulo.
Ho dolore, percepisco la tensione, ho l’impressione che si aggravi. Ha consigli su quello che dovrei fare? Solo allungamenti o c’è qualcos’altro? Oppure non devo preoccuparmi?»
— Domanda di Kleeblatt (27 settembre 2022)

Corinne Weidner, Fisioterapista MAS Riabilitazione :
È importante trattare la «rete ascellare» il più rapidamente possibile, prima della radioterapia, che richiede una grande ampiezza di movimento della spalla.

Il trattamento include innanzitutto linfodrenaggi manuali e mobilizzazioni, effettuati da fisioterapisti con una formazione complementare in fisioterapia linfologica. Vengono eseguite in particolare mobilizzazioni trasversali dolci.

Inoltre, il fisioterapista insegna esercizi di stretching che devono essere eseguiti regolarmente a domicilio, con l'obiettivo di allungare tutte le articolazioni attraversate dalle «corde di chitarra» (spalla, gomito, polso, dita). Questo allungamento può essere rafforzato da una respirazione addominale profonda.

Ecco alcuni esercizi di allungamento:
è importante eseguirli molto dolcemente.

  • Sollevi il braccio con il gomito teso, il polso teso e le dita aperte, nel farlo non dimentichi di respirare.
  • Respiri e si rilassi. Si sdrai sulla schiena (sul pavimento o su un letto), incroci le dita e tenda le braccia sopra la testa (cerchi di distendere le braccia il più possibile sul materasso, sul pavimento o su un cuscino).

Le auguro una piena guarigione!

     

*) La «rete ascellare», chiamata anche «corde ascellari», briglie, linfosclerosi o malattia di Mondor, corrisponde a un indurimento dei vasi linfatici causato dalle lesioni chirurgiche a livello dell’ascella e/o del torace. Il sistema linfatico si infiamma e i vasi si restringono e diventano palpabili o visibili sotto la pelle, con un aspetto simile a una corda di chitarra.

«Nel dicembre 2022 mia figlia ha ricevuto la diagnosi di cancro duttale invasivo NST pT1c, cN1, M1 (2 metastasi: vertebra dorsale e spalla (mammella sinistra)). Chemioterapia (6 sedute), operazione, cementazione vertebra e attualmente radioterapia + terapia ormonale (letrozolo da metà luglio).
Per l’intensa stanchezza che la assilla, una cura vitaminica potrebbe essere efficace?
La mia domanda: il farmaco Verzenios è stato rifiutato due volte dalla sua cassa malati, come potrei ottenerlo?
Mia figlia si sente sempre peggio, la causa è il letrozolo o la radioterapia? È la mia unica figlia, ha 51 anni e sono una madre devastata. Grazie infinite della Sua risposta!»
— Domanda di B.A. (28 settembre 2022)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
La situazione che Lei sta vivendo è molto difficile ed è totalmente devastata.

Nella maggior parte delle persone colpite da un cancro, i trattamenti e la malattia stessa provocano un’enorme stanchezza.

Sta cercando qualcosa che possa aiutare Sua figlia unica a tollerare meglio le terapie mediche. Le consiglio di prendere contatto con un istituto di medicina complementare e integrativa. Nella Svizzera francese esiste il Centre de médecine intégrative et complémentaire (CEMIC) al CHUV (Ospedale universitario del Canton Vaud). A Ginevra trova il centro Otium.

Riguardo al rifiuto della cassa malati di assumersi i costi del medicinale Verzenios, sul sito web della Lega svizzera contro il cancro trova uno schema che spiega come funziona il rimborso dei farmaci. Si rivolga alla Lega contro il cancro del Suo Cantone, indicando il motivo del rifiuto dell’assunzione dei costi da parte della cassa malati. Troverà professionisti esperti nel settore delle assicurazioni sociali che sapranno consigliarla.

Sua figlia si sente sempre peggio. E questo La preoccupa. Un tumore e i relativi trattamenti hanno forti ripercussioni su più livelli. Auguro a Lei e a Sua figlia che un trattamento di medicina complementare e integrativa produca un miglioramento sensibile dello stato di salute generale di Sua figlia.

La Lega svizzera contro il cancro pubblica opuscoli su come convivere con un cancro nella vita di tutti i giorni.
Forse Sua figlia potrà trovarvi informazioni utili.

«Buongiorno,
A causa della radioterapia del bacino i miei linfonodi sono danneggiati in quella regione.
Ho letto il vostro opuscolo e ho una domanda.
Quando i linfonodi del bacino sono distrutti (come è stato dimostrato nel mio caso) e quindi non trasportano più la linfa dalle gambe all’addome, dove va a finire il liquido quando ricevo il linfodrenaggio manuale e indosso le calze compressive? Non può certo dissolversi nell’aria.
Grazie delle vostre informazioni.
Cari saluti,»
— Domanda di C.P. (26.10.21)

Corinne Weidner, fisioterapista con master in riabilitazione:Buongiorno C.P,
una radioterapia ha distrutto i linfonodi del Suo bacino. Dopo aver letto l’opuscolo «Il linfedema dopo un cancro» si è chiesta dove possa scorrere la linfa se i linfonodi del bacino sono distrutti.

Dopo una radioterapia il deflusso della linfa può essere bloccato, come è successo a Lei. Di norma, se alcuni linfonodi sono danneggiati i linfonodi adiacenti aumentano la loro attività. Quando questo sovraccarico di lavoro diventa eccessivo per i vasi linfatici si forma un linfedema, ossia, la linfa si diffonde e ristagna nei tessuti. Di conseguenza si sviluppano gonfiori e accumuli di liquido, che possono limitare la mobilità e causare dolori. Se il linfedema rimane senza trattamento, possono formarsi fistole e la pelle può infiammarsi.

Il linfodrenaggio manuale stimola l’attività dei vasi linfatici, migliorando la capacità di trasporto della linfa e favorendone il deflusso. Il liquido viene spostato dalla rete superficiale di microscopici vasi linfatici verso regioni in cui i vasi sono collegati a linfonodi ancora intatti, attraverso i quali può essere trasportata la linfa.
Allo stesso modo, portare una calza a compressione aiuta a evitare che la linfa rifluisca nei tessuti e ne facilita il drenaggio.

Il trattamento di un linfedema include sempre una terapia complessa decongestiva (CDT), che è descritta molto bene nell’opuscolo «Il linfedema dopo un cancro» a partire da pagina 18.
La CDT è composta da 2 fasi.
Fase 1 = intensiva: la gamba viene trattata con bendaggi compressivi, successivamente viene adattata una calza compressiva a trama piatta.
Fase 2 = di mantenimento: l’obiettivo di questa fase è mantenere il risultato raggiunto con l’applicazione di linfodrenaggi manuali e indossando la calza a compressione.

L’importante è che la terapia non sia composta solo dal linfodrenaggio manuale, ma anche dai bendaggi compressivi, e che alla fine della fase intensiva sia preparata una calza a compressione su misura.

Il linfedema è una malattia cronica: il trattamento può ridurlo e arrestarne la progressione. Per la sua riuscita sono necessarie disciplina, pazienza e perseveranza.

Se l’edema nel corso del trattamento non diminuisce, chieda un secondo parere da un altro fisioterapista. Nell’opuscolo «Il linfedema e il cancro» , alle pagine 23/24 trova ulteriori informazioni e un elenco delle associazioni svizzere che forniscono i recapiti di fisioterapisti specializzati.

Cancro dell’ovaio: terapie e controlli periodici

La chirurgia, la chemioterapia e la terapia mirata sono i principali trattamenti per il cancro ovarico. 

«Com’è possibile vedere qualcosa negli esami di controllo dopo un cancro dell’ovaio?
Il mio carcinoma primario (3,5 cm) è stato trovato per caso in un’ecografia, né la TC né la risonanza magnetica hanno permesso di vedere gli altri piccoli carcinomi disseminati che sono stati poi trovati durante l’operazione principale. Che cosa mi devo aspettare dai controlli dopo l’intervento? Nemmeno i marcatori tumorali sono del tutto affidabili. Grazie della sua risposta.ort.»
— Domanda di L.P: (05.09.2024)

Dr. med. Anita Wolfer, oncologa, caposervizio della divisione di oncologia ginecologica dell’Ospedale universitario di Ginevra (HUG)

La Sua domanda è assolutamente giustificata. Ha ragione, la diagnostica per immagini spesso è insufficiente nel cancro dell’ovaio, ma purtroppo non disponiamo di metodi migliori. Pertanto, i controlli consistono in una combinazione di indagini: un colloquio approfondito con la paziente per portare alla luce eventuali anomalie della funzione corporea, un esame clinico, la determinazione dei marcatori tumorali e, appunto, una TC anche se non è perfetta.
È doveroso aggiungere anche che gli esami di controllo purtroppo non possono prevenire la comparsa di una recidiva.

«Buongiorno, sono seguita dal 2013 per un cancro dell’ovaio, che ha recidivato nel 2016.
Conclusa la chemioterapia per la recidiva, mi è stato prescritto un trattamento a base di olaparib o Lynparza che tollero bene.
Durante la mia ultima visita dall’oncologa, persona che vedevo per la prima volta, lei ha accennato alla possibile interruzione del trattamento. Sono rimasta sorpresa poiché mi avevano detto che avrei continuato ad assumere la terapia finché l’avessi tollerata o in caso di nuova recidiva.
Ho molta paura riguardo all’interruzione del trattamento perché credo che le cellule tumorali possano riattivarsi. Ho perso mia sorella per lo stesso cancro due anni fa e sono stata io ad accompagnarla fino alla fine.
Mi piacerebbe avere un consiglio, una spiegazione sul fatto di interrompere o no il trattamento. Grazie»
— Domanda di V.D. (8 settembre 2022)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Buongiorno,
la Sua domanda è pertinente.

Purtroppo mi è difficile fornirle un consiglio esaustivo in merito alla Sua situazione senza avere maggiori informazioni su tutto il decorso del Suo cancro dell’ovaio e dell’assistenza medica che ha ricevuto finora.

Lei dice che la Sua nuova oncologa Le ha suggerito di interrompere il trattamento. La invito a esprimere i Suoi dubbi su questa specie di «contrordine» in occasione della prossima visita e di non esitare a chiedere i motivi di questo cambiamento.

Se malgrado le spiegazioni dell’oncologa Lei si sentisse ancora insicura riguardo all’eventuale decisione di interrompere il trattamento, Le suggerisco di prendere contatto con uno dei centri elencati qui per beneficiare di un secondo parere dopo la consultazione integrale della Sua cartella clinica.

Cordiali saluti

«Gentili signore e signori
Mia moglie si è ammalata di cancro dell'ovaio. Ora è stata operata e gli sono stati asportati 3 tumori recidivi.
Una dieta chetogenica (come in uno studio dell'Università di Würzburg) può aiutare in questa situazione?
Chi potrebbe fare da riferimento per me per chiarire i possibili benefici di questa dieta?
Vi ringrazio di cuore del vostro sostegno.»
— Domanda di Dieter (24 settembre 2021)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
La dieta chetogenica è attuata da molti malati di cancro nella speranza di combattere o far morire di fame il tumore.

Finora tuttavia mancano prove scientifiche che la dieta abbia davvero senso. Negli studi sull'essere umano non ci sono risultati che provino chiaramente che il tumore muoia di fame, che si prolunghi la vita o che migliori l'efficacia dei trattamenti.

Attuando la dieta bisogna fare attenzione soprattutto agli effetti collaterali. Può portare alla perdita di muscoli e a una malnutrizione indesiderata. C'è anche un aumento del rischio di ipoglicemia, iperlipidemia, costipazione o diarrea e calcoli renali e gotta. Pertanto, si raccomanda ufficialmente di attuare una dieta chetogenica solo sotto controllo medico e sotto l'osservazione di un team di nutrizionisti esperti.

Il corpo ha bisogno sia di grassi che di proteine e carboidrati per le varie funzioni corporee. È ovvio quindi che un apporto equilibrato di questi nutrienti, così come di fibre alimentari, vitamine e minerali, è con buona probabilità la cosa più sensata.

Finché gli studi sulla dieta chetogenica non forniscono risultati chiari, ognuno deve decidere di persona se vuole attuarla o meno. Se sua moglie è convinta della dieta chetogenica e vuole nutrirsi in questo modo, l'attuazione dovrebbe essere ben pianificata e si dovrebbe fare attenzione a garantire che l'apporto di nutrienti, vitamine e minerali sia in linea con le sue esigenze.

Si dovrebbe rivolgere ad una/uno specialista in nutrizione solo dopo aver consultato l'oncologa/l'oncologo curante.

«Tumore a cellule della granulosa dell'adulto: se la capsula del tumore si è già rotta prima dell'operazione, quanto è alta la probabilità di una recidiva? E dopo quanti anni potrò aspettarmi che non comparirà più una recidiva?»
— Domanda di Ischtil (28 settembre 2021)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Lei ha un tumore molto raro dell’ovaio. In generale si ha poca esperienza con questo tumore, anche riguardo al suo decorso tipico. Di solito si tratta di un tumore a bassa malignità che cresce lentamente.

L'estensione del tumore al momento della diagnosi (stadio) è solo uno di numerosi fattori che influiscono sulla prognosi. Nella previsione del possibile decorso devono essere considerate anche l’eventuale presenza di un residuo tumorale postoperatorio, la Sua età, il Suo stato di salute generale, il sottotipo istologico, il grado di differenziazione (quanto si differenziano le cellule tumorali da quelle sane) e la Sua risposta alla terapia.

Inoltre, le statistiche non sono necessariamente indicative della prognosi individuale. A volte il decorso è completamente diverso dalla tendenza descritta nella letteratura scientifica. Alcune donne vivono a lungo senza recidive, altre subiscono un peggioramento molto rapido della malattia malgrado la terapia. Discuta delle questioni che La preoccupano con i Suoi medici curanti: sono le persone più competenti per esprimersi sulla Sua prognosi personale poiché conoscono i reperti della Sua malattia e sono in grado di spiegarle le implicazioni.

Un rischio di recidiva persiste per tutta la vita, ma si riduce con il passare degli anni.

Cancro del collo dell'utero: La vita dopo la fine del trattamento

Effetti collaterali e sintomi dopo il cancro

«Gentili dottori,
mi chiamo Concetta e vi scrivo per avere un vostro parere. A causa di un tumore alla cervice uterina, sono stata sottoposta a 5 cicli di chemio con Taxolo, cisplatino e bevacizumab. Dopo a 25 sedute di Radio e chemio con cisplatino e Brachiterapia. Adesso sono libera da malattia e sto facendo mantenimento con Bevacizumab. Sto bene a parte forti dolori alle gambe, piedi e caviglie quando cammino. Nessuno mi sta sapendo indirizzare. Gli oncologi che mi seguono suppongono che siano effetti delle terapie, ma non mi aiutano. Sono andata da un ortopedico e ho fatto delle lastre, ma alle ossa non c'è niente. Sono ingrassata 20 chili, potrebbe anche essere il peso? Forse dovrei andare da un neurologo, fare una risonanza?»
— Domanda di Concetta79 (5 ottobre 2023)

Prof. Dr. Monica Castiglione, oncologa e specialista del cancro al seno:
Cara Signora Concetta

Per prima cosa mi rallegro con lei per l’ottimo risultato del suo trattamento.

Penso che sia chiaro che non è possibile fare diagnosi e dare consigli terapeutici senza vedere la paziente e senza conoscere tutti i dettagli del suo trattamento nonché tutti i risultati del sangue e radiologici.
Malgrado ciò le posso dire che sia il Taxolo che il Bevacizumab possono fare effetti secondari simili a quelli che lei descrive. Questi problemi in molti casi migliorano quando le terapie terminano. Ne discuta apertamente con il suo oncologo.

Perdere peso sgraverebbe le sue articolazioni e contribuirebbe a prevenire una recidiva. Dimagrire da soli, senza incorrere in carenze nutrizionali non è facile. Chieda al suo medico un certificato di prescrizione dietetica. Un peso corporeo normale e una dieta varia ed equilibrata contribuiscono in modo significativo al benessere psicofisico e migliorano l’efficacia delle terapie.

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